Il Blog di Felice Besostri

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La sinistra spagnola: un pessimo esempio per l’Europa


La marea politica nera, che ha investito la Spagna dopo il voto municipale e autonomico del 22 maggio 2011, avrebbe dovuto consigliare, con reciproche concessioni, una fase di distensione a sinistra, specialmente nei rapporti tra PSOE e IU. Così non è stato, come dimostra l’ultimo esempio della Comunità Autonoma dell’Estremadura da 28 anni governata da socialisti, spesso collocati nell’ala sinistra. Il 7 luglio con 32 voti del PP a favore, 30 voti contro dl PSOE e 3 astensioni di IU( Izquierda Unida) è stato eletto presidente il popolare José Antonio Monago. Con le elezioni autonomiche di Andalusia e del Paese Basco, ancora da celebrare, la conquista del potere regionale da parte della destra sarà totale ed assoluta, in una dimensione mai vista in Spagna. La scelta di IU non era inaspettata visto il tono ferocemente anti-socialista della campagna elettorale, che aveva le sue ragioni nella politica economica e sociale del governo Zapatero, tuttavia non aveva mai detto che avrebbe favorito il PP. Tuttavia si sperava che i 60 municipi persi a causa della disunione a sinistra, favorendo l’elezione di alcalde xenofobi, come a Badalona, inducesse a una maggiore riflessione politica, piuttosto che lasciarsi andare a reazioni viscerali. L’indicazione nazionale di IU, questa volta, era chiara: bisognava fare barriera alla destra. In un primo momento il coordinatore regionale Pedro Escobar si era allineato alle indicazioni di Cayo Lara, il segretario nazionale di IU, ma ha dovuto cambiare idea sotto le pressioni della base e soprattutto dei dirigenti locali , molto ostili ai socialisti, come scrive El Pais del 8 luglio. Le minacce di espulsione non hanno avuto effetto, anzi Escobar ha replicato che nessuno lo potrà espellere dalla propria casa dopo 40 anni di Partito Comunista e di appartenenza ad IU dalla sua fondazione. Probabilmente ha ragione. Izquierda Unida a prescindere dal proprio nome è una formazione molto divisa, che non è mai riuscita ad amalgamare le diverse provenienze, in particolare quella comunista non ha mai rinunciato ad esercitare un’egemonia nei confronti della sinistra socialista e della sinistra movimentista. La chiusura di IU spiega il fatto che non è mai stata capace di intercettare il dissenso dei militanti socialisti e nemmeno dei loro elettori, se non in piccola parte. Ci sono ragioni politiche e psicologiche, che in politica non sono un fattore secondario. Durante la clandestinità i comunisti del PCE, guidati da Santiago Carrillo avevano immaginato un post-franchismo all’italiana, fondato su un duopolio comunista democristiano. Le prime elezioni furono vinte da una forza centrista il CDS di Adolfo Suarez, ma era chiaro che l’opposizione era socialista, con il PSOE egemone a sinistra e i democristiani faticarono ad essere rappresentati in Parlamento. In ogni caso Ruiz Jimenez non sarebbe mai stato Alcide De Gasperi e Carrillo Palmiro Togliatti. Questo fatto non è mai stato digerito, nemmeno in Italia. Le ripercussioni furono immediate i comitati di solidarietà alla Spagna furono rapidamente smantellati. Il PSOE divenne attrattivo per personaggi di formazione comunista, basti il caso di Jorge Semprun, ministro della Cultura in un governo Gonzalez e più recentemente Rosa Diez, già sindaco di Cordoba, feudo comunista da sempre, caduto anch’esso in mano popolare nell’ultima tornata. Non solo la componente cattolica cristiana progressista, trovò collocazione nel PSOE o nel suo ambito, anche qui pochi nomi emblematici come Peces Barba, Presidente della camera e Ruiz Jimenez nominato Defensor del Pueblo. La storia spagnola dimostra che non c’è un destino univoco di un paese latino e cattolico, che la mancanza di un forte partito socialista democratico non dipende dal clima o dal carattere degli abitanti. In realtà la forza parlamentare delle formazioni a sinistra del PSOE è stata compressa da una legge elettorale, che favorisce, a mio avviso indecentemente, i partiti più grandi, che ha una sua logica, ma soprattutto i partiti nazional-regionalisti, a detrimento di partiti nazionali con maggiori consensi in valori assoluti, ma distribuiti in tutto il territorio dello Stato. Se il PD avesse le mani libere in Italia, sarebbe la legge che ci propinerebbe d’intesa con Lega Nord, MPA, UDC e SVP. Il PSOE ha sempre privilegiato patteggiare con i partiti nazional-regionalisti(PNV o CiU in particolare), quando non aveva la maggioranza assoluta in Parlamento. La separazione a sinistra una volta era anche alimentata dalla concorrenza sindacale tra CC.OO. e UGT, forse chi soffia adesso sul fuoco nei rapporti tra CGIL e FIOM, ha nostalgia di quel periodo, mentre in Spagna è aumentato il grado di unità sindacale e la UGT ha lasciato liberi i suoi affiliati alle elezioni. La gravità di quanto è successo è accentuato dal trasformismo parolaio del candidato presidente di Estremadura che doveva accarezzare le orecchie dei tre consiglieri di IU, che nel caso si sono comportati cole quelli della Lega di fronte alle promesse berlusconiane. La politica del PP, se vince le elezioni politiche sarà molto più dura di quella del PSOE in campo economico e sociale e per di più smantellerà le conquiste in materia di libertà civili e di scuola pubblica. Se questo esito fosse soltanto stato prospettato in campagna elettorale IU sarebbe stata punita dagli elettori. Il danno è fatto, ma ora la sinistra dovrebbe ricordarsi che in Estremadura è maggioranza e sappia far cadere il governo PP al momento del bilancio, con l’obiettivo di convocare nuove elezioni. Tutta la sinistra in Europa è chiamata a un ripensamento delle proprie strategie politiche ed elettorali, se vuol tornare a vincere. Non c’è spazio per una permanente divisione tra una sinistra, cosiddetta responsabile, tradizionalmente socialdemocratica e una antagonista per principio. Dopo che è svaporata la Terza Via è più di un decennio che il socialismo democratico è alla ricerca di un discorso che la riconcili con il suo elettorato tradizionale, deluso dall’appiattimento neoliberista, ma nel contempo mantenga la sua credibilità come alternativa di governo: un difficile equilibrio tra realismo e utopia, che non può diventare equilibrismo a parole. Sta mutando il quadro politico sotto la spinta di molteplici fattori, economici e non solo, che alterano anche la composizione sociale dei nostri paesi. Parte dell’elettorato tradizionale della sinistra, nel periodo di abbandono, hanno trovato altri sbocchi, di tipo populista, sempre demagogici e spesso localisti e xenofobi. Il nuovo scontento del tipo degli “indignados” spagnoli o dei nostrani “Grillini” non si indirizza più naturalmente verso la sinistra alternativa, perché rifiuta la nozione stessa di destra/sinistra. Gli stessi rapporti tra sinistra e ambientalisti sono in discussione, non è pacifico che siano alleati nel rovesciare la destra. Una strategia di crescita a sinistra basata sulla cattura di voti socialdemocratici in libera uscita si è rivelata perdente: Germania 2009, Portogallo e Spagna 2011 ne sono la più evidente dimostrazione. Una sinistra ampia e plurale dialogante con i movimenti rispettandone le differenze e l’autonomia, con un suo progetto di società, cioè radicalmente riformatrice e con una dimensione sovranazionale. Un confronto tra le diverse componenti della sinistra senza pregiudiziali, che non siano quelle dell’accettazione della democrazia per la conquista e la gestione del potere. La costituzione di un partito con queste caratteristiche può essere un obiettivo, ma non è una pre-condizione per iniziare un confronto. Ricordare che un tempo era possibile per Kautsky, Bernstein e la Luxemburg militare in uno stesso partito, oggi non è di nessuna utilità, quando Ti accorgi che sono stati dimenticati Nenni, Gramsci, Saragat e Togliatti e che gli stessi Craxi e Berlinguer, sono personaggi la cui memoria è coltivata in strette congreghe di nostalgici. Tuttavia cominciare dal rispetto dei compagni e delle compagne è il minimo e i dissensi sull’accordo interconfederale possono confrontarsi lasciando da parte la funesta categoria dei social-traditori.
Berna 8 luglio 2011
Felice Besostri, Network per il Socialismo Europeo