Il Blog di Felice Besostri

Il Blog di Felice Besostri

Le idee del socialismo hanno avuto molte vite

«Non è questione di nomi: nell’Internazionale Socialista i partiti che si definiscono socialisti o socialdemocratici sono 49 su 101 membri effettivi. Per diventare maggioritarie, ma di poco, le denominazioni tradizionali devono sommarsi ai 7 partiti laburisti. Ci si dimentica che fino a qualche decennio fa la distinzione tra socialisti e socialdemocratici era netta. Nello stesso PSI per non andare all’estero socialdemocratico era un insulto anche dopo la scelta autonomista e per un certo periodo si coltivò, anche da parte di Craxi, l’idea di un socialismo latino e mediterraneo, come contrapposto a quello nordico e centro-europeo.
Poi i conti non tornavano, perché in un paese plurilingue, come la Svizzera, lo stesso partito, con organi e programmi comuni( non siamo in Belgio dove valloni e fiamminghi hanno partiti separati), si chiama socialista nei cantoni di lingua romanza e socialdemocratico in quelli alemannici: per non parlare dei cantoni (Friburgo e Vallese) e città( Biel/Bienne) bilingui, in cui si usano a parità i due nomi.
Dunque se la distinzione non è significativa, ancor più ardua è introdurre una distinzione/ contrapposizione tra socialdemocratico e progressista , perché tutti i partiti socialdemocratici sono anche progressisti, mentre ci sono formazioni progressiste, non appartenenti all’Internazionale Socialista, che non si definirebbero mai socialdemocratiche o laburiste, per esempio il Partito del congresso indiano. Tuttavia per molto tempo il Partito del Congresso è stato più statalista di tanti partiti socialisti democratici, per esempio quelli scandinavi, se per statalismo intendiamo la proprietà statale di mezzi di produzione. Al movimento socialista si deve l’espansione delle società cooperative, di lavoro, consumo e di abitazione, e del mutualismo previdenziale. Nei paesi dove il socialismo riformista è stato egemone, ancora una volta nell’ Europa del Nord, ma anche in Belgio, gestiscono ancora l’assistenza e la previdenza sociale sotto il controllo dei sindacati unici. In Italia la massima espansione delle aziende controllate dallo Stato, direttamente come gli enti pubblici economici o indirettamente tramite le partecipazioni statali, si ebbe negli anni d’oro del centrismo a guida democristiana.
Il centro-sinistra nazionalizzò agli esordi l’industria elettrica, ma in seguito privatizzò dapprima le banche di interesse nazionale ( e con esse la proprietà della Banca d’Italia) e poi tutto quello che era possibile dall’ENI all’ENEL alla Società Autostrade e la telefonia. Il processo di privatizzazione raggiunse il suo acme con il primo Ulivo (1996-2001), quando il Partito Socialista aveva un grande futuro irrimediabilmente alle sue spalle. A guidare il governo c’era Romano Prodi, già privatizzatore della SME, una persona appartenente alla cultura politica della sinistra democristiana, che, all’indomani della caduta del Muro di Berlino, dichiarò alla rivista Il Regno di Bologna, che avrebbe rappresentato non soltanto la fine del comunismo, ma anche del socialismo democratico nell’Europa occidentale. Molte delle idee che circolano in Italia derivano dalla sua anomalia europea. Nel resto d’Europa la sinistra sociale cristiana si è incrociata con il socialismo al punto che in Gran Bretagna e nei paesi scandinavi ne è stata una delle componenti fondatrici. L’altra anomalia italiana è stata rappresentata da una chiara egemonia a sinistra del filone comunista. Di per sé non era di ostacolo ad un inversione dei rapporti di forza a sinistra, basta pensare alla Francia, se non fosse stata accompagnata da un forte democrazia cristiana interclassista: la classica tenaglia. lLa previsione di Prodi non si avverrò, anzi proprio negli anni ’90 fu elettoralmente smentita dai successi elettorali dei partiti socialisti,socialdemocratici e laburisti, tanto che nell’Unione Europee a 15, nel 1998, 13 primi ministri erano socialisti e il 14° era Prodi. L’anno dopo l’Economist si chiedeva dove fossero finiti i conservatori europei: D’Alema di un Partito membro dell’IS e del PSE aveva nel frattempo sostituito Prodi. Proprio quegli avvenimenti Dovrebbero renderci cauti a fare previsioni epocali e planetarie sulla base di risultati elettorali nazionali.
Come allora sarebbe stato sbagliato prevedere un XXI° secolo socialista democratico, troppo in fretta si è pensato che la socialdemocrazia fosse finita per sempre in seguito alle ripetute sconfitte in Europa: infatti nello stesso periodo si apriva una serie di vittorie della Sinistra in America Latina, aperte dalla vittoria del cileno socialista Ricardo Lagos in Cile nel 2000 e continuata con una serie di successi come quella dell’uruguayano socialista Tabarè Vasquez, della cilena Bachelet e del brasiliano Lula nel 2002. E’ vero che il suo partito non fa parte dell’Internazionale Socialista anche se ha partecipato ai suoi congressi come invitato, ma le grandi socialdemocrazie europee hanno sempre avuto stretti contatti con il PT e nel suo statuto si riconosce come partito socialista democratico. Bastava consultare Wikipedia , edizione inglese, “from a far-left socialist to a centre-left social-democratic party”, mentre per quella in italiano è un partito di sinistra con diverse componenti. Ci si rende conto che c’è un’eredità storica non ancora digerita in Italia, che impedisce un chiaro confronto nei contenuti di cosa sia ora una proposta socialista democratica distinta da una progressista. I nomi non aiutano. In Polonia e in Ungheria i partiti socialisti locali, membri dell’IS e del PSE, sono nati dalla costola dei partiti comunisti al potere al tempo del patto di Varsavia e del Comecon. Uno quello ungherese ha scelto di chiamarsi socialista, mentre il polacco ha preferito il nome di Alleanza della Sinistra Democratica: sono stati entrambi al potere con programmi neoliberisti, al punto di alienarsi gli strati popolari, che hanno preferito poi rivolgersi a formazioni populiste di destra. Gli anni ’90 del secolo scorso e i primi anni di questo secolo dono stati caratterizzati da un abbandono delle tradizioni socialdemocratiche e quindi di cosa stiamo parlando, quando prefiguriamo un nuovo futuro del socialismo, svincolato dalla socialdemocrazia. Il governo in solitario è sempre stato limitato a pochi paesi, sostanzialmente solo Svezia e Norvegia a cavallo degli anni ’30 e nel secondo dopoguerra pur con un sistema proporzionale. La Gran Bretagna con il suo sistema elettorale non è significativa di una tentazione egemonica della socialdemocrazia.
In Francia i socialisti sono diventati la forza maggiore grazie al regime semipresidenziale e al maggioritari con ballottaggio e grazie una chiara scelta a sinistra da Mitterrand in poi. Se avessero dovuto seguire i consigli italiani avrebbero dovuto, invece, allearsi con i centristi. E’ interessante notare che i socialisti stanno dominando a sinistra le prossime presidenziali, sia con il candidato deciso dalle primarie del PS, sia con Jean Luc Melenchon, fondatore del Partito della Sinistra, candidato di un Fronte con i comunisti al primo turno. In Germania la Linke è uscita dal ghetto della Germania orientale soltanto con l’innesto socialdemocratico di Oskar Lafontaine: nelle elezioni federali del 2009 la sua parola d’ordine di maggior successo era di rimproverare alla SPD l’abbandono di Bad Godesberg!. Le sconfitte elettorali e la crisi hanno aperto una riflessione all’interno del PSE, iniziata con il suo congresso di Praga del 2009 e continuata all’interno dei suoi partiti, a partire della SPD e dal Labour di Ed Miliband. Non pare a chi a segua che ci sa una proposta classica di deficit spending, nazionalizzazioni e distribuzione di benefici ai lavoratori: ha nazionalizzato di più Obama, il modello progressista per eccellenza del PD, come Clinton lo è stato per il PDS/DS, il grande sregolatore dei mercati finanziari. Il socialismo democratico ha un punto fermo il potere si conquista e si gestisce con metodi democratici e nel rispetto della libertà: la crisi economica e le sconfitte elettorali hanno posto il problema se i socialisti devono anche pensare un modello diverso di società o dare per eterno il sistema capitalista nella sua versione neoliberista, il turbo capitalismo che ha dominato il pensiero economico e politico dell’ultimo ventennio.
Al centro della riflessione dovrebbe esserci di nuovo l’uguaglianza, non come astratto egalitarimo imposto dall’alto dallo Stato o da un partito unico, ma come condizione di sviluppo economico e di consolidamento della stessa democrazia. La democrazia è, infatti, messa in questione, perché incapace di risolvere i problemi a causa della lentezza delle sue procedure e dall’orizzonte temporale ristretto, 4 o 5 anni, dei rinnovi dei parlamenti: meglio leader eletti direttamente, che controllano le assemblee legislative La dimensione statuale nazionale, il quadro in cui storicamente, la socialdemocrazia ha realizzato i suoi maggiori successi dal suffragio universale al welfare state, è messo sotto accusa. Eppure ci sono due vie d’uscita per una governante mondiale, costruire delle federazioni su base continentale ovvero immaginare un condominio tra gruppi finanziari multinazionale e istituzioni internazionali, in cui sono presenti soltanto i governi. Per queste risposte occorrono scelte politiche e su queste si deve misurare la sinistra, se vuole vivere una dimensione sociale globale e non rinchiudersi in confini politici inefficienti, come i partiti nazionali. Si parli di PSE come partito transnazionale, se diventa un centro di elaborazione politica tutta la sinistra dovrà confrontarsi con il socialismo europeo, come la più grande forza di progresso, senza bisogno di fargli cambiare nome, come, invece, si è riusciti con il Gruppo Socialista del Parlamento Europeo.
Felice Besostri - Network del Socialismo Europeo
Traduzione in FR
Les idées du socialisme ont connu de nombreuses vies, mais ne sont jamais mortes
Ce n’est  pas une question de noms : dans l’Internationale Socialiste, les partis  qui se définissent socialistes ou socio-démocrates sont 49 sur 101 membres effectifs. Pour devenir majoritaires, mais de peu, les dénominations traditionnelles doivent se joindre aux 7 partis travaillistes. On oublie que, jusqu’à il y a quelques décennies, la distinction entre socialistes et socio-démocrates était nette. Sans aller à l’étranger, au sein même du PSI, social-démocrate était une insulte, même après le choix autonomiste et, pendant un certain temps, on cultiva, y compris chez Craxi, l’idée d’un socialisme latin et méditerranéen, en opposition au socialisme nordique et centre-européen. Toutefois, la distinction ne tenait pas, vu que, dans un pays plurilingue, comme la Suisse, le même parti, avec des organes et des programmes communs (nous ne sommes pas en Belgique où Wallons et Flamands ont des partis séparés) s’appelle socialiste dans les cantons de langue romane et social-démocrate dans les cantons alémanique, sans parler des cantons (Fribourg et Valais) et villes (Biel-Bienne) bilingues, où les deux noms sont utilisés à égalité.
Si la distinction n’est pas significative, il est encore plus ardu d’introduire une distinction /opposition entre social-démocrate et progressiste, vu que tous les partis sociaux-démocrates sont également progressistes, alors qu’il existe des formations progressistes qui n’appartiennent pas à l’Internationale Socialiste et qu’on ne définirait jamais comme social-démocrate ou travaillistes, par exemple le Parti du Congrès Indien. Toutefois, le parti du Congrès Indien a été très longtemps plus étatique que de nombreux partis socialistes démocratiques, par exemple les scandinaves, si par étatisme nous entendons la propriété de l’Etat sur les moyens des productions.
C’est au mouvement socialiste que l’on doit l’expansion des coopératives, des sociétés du travail, de consommation et de logement, ainsi que des sociétés mutuelles de prévoyance. Les pays où le socialisme réformiste prédominait, encore une fois en Europe du Nord mais aussi en Belgique, gèrent encore l’assistance et la prévoyance sociale sous le contrôle des syndicats. En Italie, l’expansion des sociétés contrôlées par l’Etat, directement en tant qu’organismes publics économiques ou indirectement par le biais des participations d’Etat, a connu son apogée pendant les années d’or du centrisme, sous direction démocrate chrétienne. Au début, le centre-gauche nationalisa l’industrie électrique, mais ensuite privatisa les Banques d’intérêt nationale (y compris la Banque d’Italie) et tout ce qui pouvait l’être : ENI, ENEL, Sociétés autoroutières et Téléphones. Le processus de privatisation a atteint son maximum avec le premier Olivier (1996-2001), à un moment où le Parti socialiste avait irrémédiablement son avenir derrière lui. Le gouvernement était dirigé par Romano Prodi, qui avait déjà privatisé la SME, personnage appartenant à la culture politique de la gauche démocrate chrétienne, qui, au lendemain de la chute du mur de Berlin, déclara à la revue Il Regno de Bologne, qu’elle marquerait non seulement la fin du communisme mais aussi du socialisme démocratique en Europe Occidentale.
Bon nombre d’idées qui circulent en Italie sont nées de son anomalie européenne. Sans le reste de l’Europe, la gauche sociale chrétienne s’est associée au socialisme au point de former, en Grande-Bretagne et dans les pays scandinaves, une de leurs composantes fondatrices. L’autre anomalie italienne est constituée par la nette hégémonie à gauche du filon communiste. En soi ce n’était pas un obstacle à une inversion des rapports de force à gauche : il suffit de penser à la France.
Il y avait toutefois le poids d’une forte démocratie chrétienne interclassiste : la tenaille classique! La prévision de Prodi ne se réalisa pas, au contraire, dans les années ’90, elle fut électoralement démentie par les succès des partis socialistes, social démocrates et travaillistes, au point que, en 1998, dans l’Union européenne à 15, 13 premiers ministres étaient socialistes et le 14e était Prodi.
L’année suivante, l’Economist se demandait où étaient passés les conservateurs européens. D’Alema, membre de l’IS et du PSE, avait entre-temps remplacé Prodi. Ce sont justement ces événements qui devraient nous inciter à la prudence lorsqu’on se livre à des prévisions définitives et planétaires sur la base des résultats électoraux nationaux. Comme alors, il serait erroné de prévoir un XXIe siècle socialiste démocrate; on a trop vite pensé que la social-démocratie était finie pour toujours suite aux défaites répétées en Europe. En effet, dans la même période s’ouvrait une série de victoires en Amérique Latine, ouverte par la victoire de Ricardo Lagos au Chili en 2000 et poursuivie par une série de succès, comme de l’Uruguayen socialiste Tabaré Vasquez, de la Chilienne Bachelet et du Brésilien Lula en 2002. Il est vrai que le parti de ce dernier ne fait pas partie de l’Internationale Socialiste, même s’il a participé à ses congrès en tant qu’invité, mais les grandes sociales- démocraties européennes ont toujours eu des contacts serrés avec le PT dont les statuts le définissent comme parti socialiste démocrate. Il suffit de consulter l’édition anglaise de Wikipedia: «from a far-left socialist to a centre-left social-democratic party».Pour l’édition italienne, il s’agit d’un parti de gauche avec différentes composantes. On se rend compte qu’un héritage historique, pas encore digéré en Italie, empêche une confrontation claire sur les contenus d’une proposition socialiste démocrate distincte d’une proposition progressiste.
Les noms n’apportent aucune aide. En Pologne et en Hongrie, les partis socialistes locaux, membres de l’IS et du PSE, sont nés de la côte des partis communistes au pouvoir à l’époque du Pacte de Varsovie et du Comecon. Le parti hongrois a choisi de s’appeler socialiste, alors que le parti polonais a préféré le nom d’Alliance de la Gauche Démocratique. Ils ont été tous les deux au pouvoir avec des programmes néo-libéraux, au point de s’aliéner les couches populaires, qui ont préféré se tourner vers des formations populistes de droite. Les années 90 du siècle dernier et les premières années de ce siècle ont été caractérisées par un abandon des traditions sociales-démocrates et donc de notre propos où nous préfigurons un nouvel avenir pour le socialisme détaché de la sociale-démocratie.
Le gouvernement en solitaire a toujours été limité à quelques pays, en substance seules la Suède et la Norvège à cheval des années 30 et dans le deuxième après-guerre avec néanmoins un système proportionnel. La Grande-Bretagne, avec son système électoral, n’est pas significative d’une tentation hégémonique de la social- démocratie.
En France, les socialistes sont devenus la force la plus importante grâce au régime semi-présidentiel et au système majoritaire avec ballottage et aussi à la suite d’un choix clair à gauche effectué par Mitterand. Si les socialistes  français avaient dû suivre les conseils italiens, ils auraient dû, au contraire, s’allier aux centristes. Il est intéressant de noter que les socialistes dominent les prochaines présidentielles à gauche grâce au candidat issu des primaires du PS et à Jean –Luc Mélanchon, fondateur du parti de la Gauche, candidat d’un front avec les communistes au premier tour. En Allemagne, la Linke est sortie du ghetto de l’Allemagne de l’Est grâce seulement à la greffe sociale–démocrate de Oskar Lafontaine: aux élections fédérales de 2009, son mot d’ordre le plus suivi était de reprocher au SPD l’abandon de Bad Godesberg! Les défaites électorales et la crise ont ouvert une réflexion à l’intérieur du PSE, commencée au congrès de Prague de 2009 et poursuivie à l’intérieur de ses partis, a partir du SPD et du Labour d’Ed Miliband. Il n’apparaît pas aux observateurs qu’il existe une proposition classique de déficit spending, nationalisations et distribution des bénéfices aux travailleurs. Obama a nationalisé davantage, lui le modèle progressiste par excellence du PD, comme Clinton, le grand dérégulateur des marchés financiers, l’a été pour le PDS/DS. Le socialisme démocratique se fonde sur un point central: le pouvoir se conquiert et se gère par des méthodes démocratiques et dans le respect de la liberté. La crise économique et les défaites électorales ont mis en exergue le problème de savoir si les socialistes doivent aussi concevoir un modèle différent des société ou bien, considérer comme éternel le système capitaliste dans sa version néo-libérale, le capitalisme trouble qui a dominé la pensée économique et politique des vingt dernières années. Au centre de la réflexion devrait se placer à nouveau l’égalité, non comme égalitarisme abstrait imposé du haut par l’Etat ou par un parti unique, mais comme condition de développement économique et de consolidation de la démocratie. La démocratie est, en effet, mise en question, parce que incapable de résoudre les problèmes en raison de la lenteur de ses procédures et des délais restreints, 4 ou 5 ans , du renouvellement des parlements. Mieux vaut des leaders élus directement, qui contrôlent les assemblées législatives.
La dimension de l’Etat national, le cadre dans lequel, historiquement, la social- démocratie a conquis ses plus grands succès, du suffrage universel au Welfare state, est mise en accusation. Il y a toutefois deux voies pour atteindre une gouvernance mondiale: construire des fédérations sur une base continentale ou imaginer un condominium entre groupes financiers multinationaux et institutions internationales, où seule sont présents les gouvernements. Ces réponses appellent des choix politiques et la gauche doit s’y mesurer, si elle veut vivre un espace social global et non se replier dans des limites politiques inefficaces, comme les partis nationaux. Si le PSE est un parti transnational, s’il devient un centre d’élaboration politique, toute la gauche devra se confronter au socialisme européen, en tant que force de progrès la plus importante, sans besoin de luii faire changer de nom, comme c’est advenu avec les Groupe Socialiste du Parlement européen.